Il "fiume" della vita - Vita nel Bisagno

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Il "fiume" della vita

Il Torrente > Racconti
di Marina De Mattia
L’acqua scorreva torbida e silenziosa, Giuseppe la seguiva stancamente con lo sguardo. Se ne stava seduto a fissare il torrente, assorto nei suoi pensieri, con le scarpe ancora sporche di fango.
Nei suoi occhi continuavano a passare sempre le stesse immagini di quella lunga e faticosa giornata, come frammenti di una pellicola rotta.

***

Quella mattina era uscito da casa molto presto e le prime luci dell’alba lasciavano intravedere un cielo grigio e lanoso.
L’aria era umida, Giuseppe si era tirato su il bavero del cappotto e, tenendolo stretto con le mani, aveva percorso il lungo viale.
Giunto alla fermata dell’autobus, iniziò a piovere e Giuseppe aprì il suo ombrello con il manico di legno. Da tempo aveva una stecca rotta, ma il vecchio ormai usciva poco e non l’aveva più riparato.
Non si sarebbe mosso anche questa volta se la figlia non l’avesse chiamato, pregandolo di portarle l’agenda che aveva dimenticato a casa sua la sera prima.
Salito sul mezzo, si era messo seduto a guardare fuori dal finestrino:
i palazzi scorrevano davanti ai suoi occhi, uno dopo l’altro, un semaforo dopo l’altro, come gli ultimi anni della sua vita, passati un giorno dopo l’altro, stancamente...
L’autobus cominciò ad attraversare un ponte di pietra, sotto al quale scorreva il torrente cittadino, e si fermò al semaforo.
Il corso d’acqua era spesso asciutto, ma bastavano le prime piogge perché si riempisse rapidamente.
Giuseppe aveva osservato con stupore che stavolta l’acqua era salita più in fretta del solito e già scorreva velocemente.
Di colpo l’intensità delle piogge aumentò, facendo crescere ancora il livello del torrente.
L’acqua ormai scorreva impetuosa, trascinando con sé tutto quello che trovava sul suo cammino: tronchi, radici, rami secchi e anche quello che l’incuria umana vi aveva gettato.
Tra le onde che scendevano con forza verso valle, spuntavano rifiuti, buste di plastica, frammenti di elettrodomestici e perfino vecchi pneumatici.
Quando l’autobus ripartì, Giuseppe vide che l’acqua era salita anche nelle strade e, tornando con lo sguardo all’interno del mezzo, si accorse che stava entrando anche dalle porte a soffietto, allagando il pavimento.
Violenti scrosci d’acqua si abbatterono sull’autobus e i tergicristalli non erano più sufficienti a liberare la vista sulla strada.
Con estrema prontezza l’autista portò il mezzo in una zona più sicura e fece scendere i passeggeri.
Giuseppe si era ritrovato così a vagare, come stordito, per le strade del quartiere e, alla fine, si era seduto su quella panchina di marmo.          

***

Non riusciva a ricordare chiaramente gli eventi, continuava soltanto a vedere immagini confuse e frammentate: persone che correvano, strade trasformate in fiumi impetuosi, bidoni della spazzatura che passavano galleggiando, motorini e automobili rovesciati e trascinati facilmente dall’acqua fangosa, come se avessero il peso di una piuma.
Questo continuo scorrere d’immagini e di ricordi fu interrotto da una serie di colpi sordi che lo riportarono bruscamente al presente.
Giuseppe si voltò e rimase a guardare sorpreso.
Immerso nei suoi pensieri, non si era accorto che, a pochi passi da lui, era arrivato un bambino.
Minuto, con i capelli arruffati e la piccola giacca allacciata male per la fretta, guardava fisso verso il torrente.
Il visetto era macchiato per essersi asciugato il pianto con le manine sporche di fango.
Ora però, quegli occhioni lucidi erano soltanto pieni di rabbia.
Scalciava con forza sul marciapiede colmo di fango e ciottoli.
A un tratto, si fermò, cominciò a raccogliere i più piccoli e a scagliarli con violenza nel corso d’acqua.
Con cautela, Giuseppe si avvicinò al bimbo.
“Chi ti ha fatto arrabbiare?” disse.
Senza parlare, il piccolo stese con forza il braccino in avanti e puntò l’indice verso il torrente.
“E cosa ti ha fatto?”
“E’ cattivo!”
Mentre guardava quella manina stretta in un pugno, a Giuseppe sembrò di sentire delle voci che contavano:
“1, 2... e 3!”
Si guardò la grande mano rugosa e la ritrovò bambina, che teneva stretto un sasso bianco e levigato, pronta a lanciarlo di piatto per fargli superare il numero di salti nell’acqua del suo compagno di gioco.
“Ti va di giocare con me?” chiese d’impulso.
Il bimbo non rispose e guardò lontano davanti a sé, come per far capire che non gli interessava ciò che il vecchio aveva da dirgli.
Giuseppe allora raccolse un ciottolo piatto e, anche se la mano non era più ferma come un tempo, lo lanciò deciso.
Il sasso volò veloce a pelo d’acqua, saltellando ben quattro volte prima di affondare nel torrente.
La bocca serrata del bimbo mollò la tensione restando aperta per lo stupore.
“Come hai fatto?” disse finalmente.
“Me l’ha insegnato un vecchio amico. L’ho osservato per tanti anni. Stando vicino a lui ho imparato a prendere la mira per il verso giusto.
E’ un tipo simpatico sai, ama i bambini e lascia che giochino con lui per tutto il tempo che vogliono; dovresti conoscerlo anche tu.
Penso che ti piacerebbe, anzi credo proprio che ti somigli.
Non è cattivo e va avanti tranquillo per la sua strada, ma, quando viene ferito, la sua rabbia scorre impetuosa; non c’è difficoltà che lo possa fermare e supera tutti gli ostacoli.
E’ generoso e ci fa bere la sua acqua; nel suo abbraccio fa crescere tante piante e, stando vicino a lui, puoi vedere anche bellissimi animali. Ti va di conoscerlo?”
“Dove sta?” rispose il bimbo.
“Proprio vicino a te”.
“E come si chiama?”
“Ah, già... ma guarda che maleducato, dimenticavo di fare le presentazioni. Qual è il tuo nome?“
Il piccolo esitò un momento, poi rispose sottovoce:
“Tommaso”.
“Tommaso, ti presento il Bisagno".
"Torrente Bisagno, questo è il mio amico Tommaso”.
In quel momento una nuvola di uccelli bianchissimi passò sopra le loro teste e cominciò a volteggiare sul corso d’acqua.
Giuseppe guardò verso Tommaso.
Il bimbo li stava seguendo attentamente con lo sguardo.
“Cosa sono quelli?” chiese a un tratto, puntando il ditino verso il cielo.
“Quelli sono gabbiani” cominciò a spiegare Giuseppe.
“Vengono qua in cerca di qualcosa da mangiare” aggiunse poi indicando il torrente.
Il livello delle acque era sceso lentamente e Giuseppe fece sentire a Tommaso il “qua qua” dei germani reali che stavano tornando.
Uno splendido airone cinerino passò maestoso davanti a loro battendo lentamente le sue grandi ali.
Il piccolo rimase incantato a guardarlo.
“Allora, ti piace il mio amico?” gli chiese Giuseppe.
Tommaso rimase un momento pensieroso e in silenzio.
“E’ il fiume della vita!” Sentenziò poco dopo.
Giuseppe rimase colpito da quel commento, tanto spontaneo quanto insolito e straordinario per un bambino così piccolo.
“Tommaso!” gridò una donna che si avvicinò correndo verso di loro.
“Oh, grazie al cielo ti ho trovato!” disse ranicchiandosi vicino al bambino.
La sua voce appariva finalmente sollevata, ma i tratti del viso tirati e le sue dita ancora tremanti facevano trasparire tutta la sua ansia.
“Va tutto bene” intervenne Giuseppe.
La donna si voltò a guardarlo.
“Papà?!”
“Ciao Sonia, stiamo benissimo, eravamo qui a fare quattro chiacchiere con un nostro vecchio amico” la tranquillizzò Giuseppe, lanciando uno sguardo d’intesa al piccolo Tommaso.
“Scusa ma sai, ero molto preoccupata! Ti ringrazio per essergli stato vicino”.
“Ora torniamo a casa” disse la donna porgendo la mano al bambino.
Tommaso invece arretrò di un passo e afferrò quella di Giuseppe.
Il vecchio si piegò verso il piccolo e, per la prima volta dopo tanti anni, il suo volto stanco si aprì in un tenero sorriso.
Tutti insieme si avviarono verso la casa-famiglia dove lavorava Sonia.
Lungo la strada c’erano tante persone, giovani e meno giovani, tutte in fila una accanto all’altra, che si passavano mobili e oggetti di vario tipo per tentare di salvarli dal fango che aveva riempito case e scantinati.
Tenendo il bimbo per mano, anche Giuseppe si sentì di nuovo utile, di nuovo “vivo”. Era come se la furia del torrente l’avesse scosso dal suo torpore aprendolo agli altri.
Forse, come aveva detto Tommaso, era davvero il “fiume della vita”.
Giunti sulla soglia del portone, il bimbo entrò correndo incontro ai compagni, raccontando con entusiasmo del suo nuovo amico “fiume”, dei bellissimi uccelli che aveva visto e di tutta la “vita” che portava con sé.
Osservando il piccolo che finalmente sorrideva e l’amore che cominciava a dimostrare verso la Natura della sua città, Giuseppe pensò che, forse, ci poteva essere ancora una speranza.
Forse, in futuro, il torrente non sarebbe più stato visto soltanto come un bene da sfruttare e da poter ferire stringendolo nel cemento, per vederlo poi come una minaccia, quando, non entrando più nel letto ristretto, straripava invadendo strade e palazzi costruiti troppo vicino a lui.
Prima di entrare nella casa, Giuseppe guardò fuori un’ultima volta.
Il cielo sopra il corso d’acqua cominciava ad aprirsi, lasciando filtrare una luce rosata, quasi irreale.
In quell’attimo si sentì in pace con il Creato e pensò che, forse, con un po’ più d’amore per l’ambiente in cui si vive, quel nuovo mondo sarebbe stato davvero possibile.
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